Servizio di diagnosi prenatale e medicina materno-fetale

Il Servizio di Diagnosi Prenatale e Medicina Fetale dell’Ospedale Cristo fornisce alla coppia un percorso clinico/diagnostico ben definito e completo e la possibilità di eseguire tutte le prestazioni necessarie al monitoraggio del benessere della gravidanza, sia dal punto di vista materno che fetale, ed alla valutazione del corretto sviluppo morfologico del feto e del suo adeguato accrescimento intrauterino. Viene garantita inoltre la possibilità di eseguire tutti gli screening volti a valutare il rischio che il feto stesso possa essere affetto da patologie cromosomiche e viene anche offerta la possibilità, qualora questo rischio si dimostrasse elevato, di eseguire gli esami di diagnostica prenatale invasiva (villocentesi ed amniocentesi) in grado di definire con precisione la patologia genetica di cui il feto è affetto.

ELENCO PRESTAZIONI

Viene effettuato tra 6 e 10 settimane ed è mirato a valutare principalmente l’evolutività della gravidanza. Il secondo scopo dell’esame è stabilire una datazione della gravidanza, ovvero stabilire quando è avvenuta l’ovulazione e di conseguenza il concepimento, per definire in maniera più precisa la data presunta del parto. Vengono inoltre definiti alcuni aspetti come il corretto impianto della camera gestazionale, il numero delle camere gestazionali e, nelle gravidanze gemellari, la corionicità ovvero la presenza di un’unica placenta o di due placente distinte. Nel caso delle gravidanze monocoriali (con un’unica placenta in comune per i due feti che possono essere in un unico sacco gestazionale oppure in due sacchi distinti), viene offerta alla paziente la possibilità di rientrare in un protocollo di monitoraggio ecografico volto ad evidenziare precocemente l’instaurarsi di complicanze come la Sindrome da Trasfusione Feto-Fetale (TTTs o twin-to-twin transfusion syndrome). Si tratta di una complicanza legata ad una disparità di flusso nei due distretti ombelicali ed in particolare evidenziare la condizione in cui uno dei due riceve più flusso dal feto donatore ed uno ne riceve di meno donando al ricevente; tale condizione, se non evidenziata precocemente ed adeguatamente trattata, può condurre alla compromissione di entrambi i feti. La complicanza evolve nel tempo in stadi sempre più severi (stadiazione secondo Quintero) e per tale motivo, nel caso di diagnosi di TTTs, la paziente viene monitorizzata con controlli ecografici seriati per una tempestiva stadiazione della patologia ed eventualmente inviata presso il centro specialistico, con il quale il nostro Servizio collabora, per l’esecuzione di specifico trattamento terapeutico (separazione laser dei distretti vascolari placentari in fetoscopia).

Essendo le procedure in grado di fornire una diagnosi di certezza che il feto possa essere affetto da una anomalia genetica (villocentesi ed amniocentesi) accompagnate da un rischio di complicanze e di aborto (05% circa), vengono proposti test di screening che hanno lo scopo di evidenziare un aumentato rischio che il feto possa esserne affetto e dunque giustificare la necessità di procedere con tali esami diagnostici. Il principale di questi test si esegue alla fine del primo trimestre di gravidanza ed in particolare ad 11-13+6  settimane, e si compone di una complessa ed articolata valutazione ecografica mirata alla misurazione di alcuni parametri i quali, associata al dosaggio di laboratorio di alcune sostanze prodotte dalla placenta (fBhCG, PAPP-A). Tale test è in grado di rilevare con una elevata sensibilità (circa il 95-97%) la probabilità che il feto possa essere affetto da una patologia cromosomica. Alcune spie ecografiche rilevabili a quest’epoca possono anche essere indice di rischio aumentato per alcune malformazioni fetali (prevalentemente a carico del sistema nervoso centrale e del cuore) e per alcune sindromi geniche di difficile individuazione con gli esami diagnostici tradizionali (cariotipo) e rilevabili con indagini genetiche più approfondite (ArrayCGH) eseguibili unicamente su materiale genetico fetale ottenuto mediante procedure di diagnosi prenatale invasiva (villocentesi o amniocentesi). Nel contesto dello screening viene inoltre effettuata una valutazione del rischio di complicanze cliniche della gravidanza come la preeclampsia (comunemente definita gestosi, vedi di seguito), il ritardo di crescita fetale ed il parto pretermine. Come accennato precedentemente, in quest’epoca l’esame ecografico, quando eseguito da operatori esperti che hanno ricevuto una adeguata formazione e certificazione, è in grado inoltre di rilevare con una discreta sensibilità la presenza di malformazioni fetali più grossolane. La sensibilità di quest’ultima rilevazione è ovviamente dipendente dall’adeguatezza dei macchinari utilizzati e dal livello qualitativo e dall’esperienza dell’operatore. Quest’ultimo parametro è garantito dal fatto che gli operatori che fanno parte dell’equipe del servizio di diagnosi prenatale dell’ospedale sono certificati da un organismo internazionale che monitorizza e controlla periodicamente lo standard qualitativo degli operatori stessi (Fetal Medicine Foundation – Londra); il livello dello strumentario è garantito dall’utilizzo di macchinari ultrasonografici all’avanguardia e di ultima generazione come quelli in dotazione presso la struttura.

La preeclampsia, nota anche come gestosi, è una complicanza che può presentarsi nelle donne quando in conseguenza di un inadeguato sviluppo delle connessioni vascolari tra la placenta ed i vasi danguigni dell’utero. In conseguenza di questo inadeguato meccanismo di adattamento vascolare si possono manifestare, solitamente nella seconda metà della gravidanza (a partire in genere dalla 20a settimana) o immediatamente dopo il parto, l’innalzamento della pressione sanguigna materna, alterazioni metaboliche e la perdita di proteine con le urine e la ritenzione di liquidi nei tessuti materni (edema). Nel feto la gestosi può causare problemi di accrescimento. La diagnosi clinica avviene solitamente durante le visite specialistiche. L’unico modo per trattare la preeclampsia  indurre il parto in relazione al periodo di gestazione. Una nascita prematura (prima della 32a settimana di gravidanza) benché talvolta necessaria o indispensabile per salvaguardare la salute della mamma e del nascituro, può avere importanti conseguenze negative per il neonato. Come accennato precedentemente, appare dunque evidente come uno screening del rischio che questa complicanza possa verificarsi rappresenta uno step di fondamentale importanza in questa fase della gravidanza, in particolare in un’epoca gestazionale (il terzo mese di gravidanza) in cui è possibile intervenire in maniera significativa con adeguati trattamenti terapeutici; in particolare importanti studi scientifici hanno evidenziato come ci sia la concreta possibilità, nelle pazienti in cui emergesse un rischio elevato, di ridurre notevolmente tale rischio mediante presidi terapeutici preventivi (aspirina a basso dosaggio 150mg/sera fino a 35-36 settimane) che permettono nello specifico una riduzione dell’82% del rischio per le forme precoci ( ad insorgenza prima delle 34 settimane) e del 62% per le forme tardive (a 34-37 settimane) [ASPRE – Rolnik DL et al. N Engl J Med 2017]. Va sottolineato come tale metodica di screening, validata e supportata da studi scientifici multicentrici internazionali recenti, è ormai entrata nella pratica clinica come indicato dalle principali società scientifiche europee e mondiali. Lo screening, che si esegue nel contesto del test combinato della 11-13+6 settimana Bi-Test), si compone di alcune rilevazioni anamnestiche (familiarità, etnia, patologie materne, fumo, etc.), ecografiche (rilevazione degli indici velocimetrici Doppler delle arterie uterine materne), cliniche (rilevazione della pressione arteriosa materna) e laboratoristiche (dosaggio PAPP-A e PLGF) e permette di ottenere una stima del rischio di sviluppare tale sindrome con una sensibilità di screening del 90% per le forme di preeclampsia ad insorgenza precoce (<34 settimane) e dell’82% per le forme ad insorgenza tardiva (34-37settimane). Presso l’Ospedale Cristo Re sarà offerta al curante e di conseguenza alla paziente la possibilità di monitorare la gravidanza ed i fattori di rischio nel Nostro Servizio Ambulatoriale clinico/diagnostico, proponendo la ripetizione dello screening al II trimestre (19-24 settimane) e III trimestre (30-37 settimane) mediante programma di calcolo Fetal Medicine Foundation che si basa sempre su rilevazioni anamnestiche (familiarità, etnia, patologie materne, fumo, etc.), ecografiche (rilevazione degli indici velocimetrici Doppler delle arterie uterine materne), cliniche (rilevazione della pressione arteriosa materna) e laboratoristiche (dosaggio sFLT-1 e PLGF). Tali procedure permettono un attento e preciso monitoraggio delle condizioni della gravidanza ed una tempestiva individuazione dei primi segni di insorgenza delle sindromi ostetriche in questione.

A completamento dello screening delle patologie cromosomiche e per aumentarne ulteriormente la sensibilità, viene offerta la possibilità di integrare la valutazione eseguita con il test combinato con un ulteriore esame che mediante un prelievo di sangue materno è in grado di valutare con elevata sensibilità il rischio di patologie cromosomiche; questo esame viene proposto principalmente a quelle pazienti il cui rischio emerso dal test combinato si colloca in una fascia di rischio intermedio (tra 1:200 ed 1:2000 circa come indicato dalla letteratura e dalle linee guida delle principali società scientifiche nazionali ed internazionali), oppure in associazione al test combinato qualora la coppia voglia comunque effettuarlo per una maggiore serenità e per una maggiore performance dello screening, a prescindere dall’esito del test combinato.

Nei casi in cui gli esami di screening dovessero rilevare un rischio dubbio o aumentato viene offerta la possibilità di eseguire nel più breve tempo possibile l’esame del cariotipo fetale mediante esame diagnostico invasivo precoce (villocentesi ad 11-13 settimane) o più tardivo (amniocentesi da 16 settimane in poi).

Nel secondo trimestre (19-23 settimane) è possibile effettuare presso la nostra struttura un accurato e dettagliato esame ecografico volto ad evidenziare la presenza di malformazioni congenite dei vari organi ed apparati fetali. La diagnosi di queste patologie passa da uno screening di I livello che, qualora positivo o sospetto, fa sì che la paziente venga riferita ad una valutazione di II livello in grado di fornire una diagnosi più dettagliata ed un definitivo inquadramento della patologia nonché un accurato couselling con lo socpo di fornire alla coppia tutte le informazioni da sapere sulla patologia stessa comprese le possibilità terapeutiche e la prognosi a breve e lungo termine. Quest’ultimo passaggio si avvale anche della collaborazione di una equipe multidisciplinare composta da esperti specialisti ginecologi, pediatri e genetisti in grado di completare il quadro informativo fornito alla coppia e di programmare, in accordo con i ginecologi della struttura, il timing del parto, l’iter di completamento diagnostico post-natale ove necessario ed infine il trattamento (medico e/o chirurgico) presso strutture adeguate e di riferimento. Quando si dovesse rendere necessario, l’iter diagnostico proposto dal Servizio offre la possibilità anche nel II trimestre di effettuare in tempi brevissimi la diagnostica genetica invasiva (amniocentesi) con lo scopo di accertare l’eventuale associazione della patologia malformativa rilevata con sindromi genetiche.

Qualora dovesse rendersi necessario per un sospetto posto all’esame ecografico del II trimestre oppure per situazioni particolari come familiarità per cardiopatie congenite o ancora per l’uso di farmaci potenzialmente in grado di indurre nel feto malformazioni cardiache, il Servizio offre la possibilità di effettuare un esame ecocardiografico fetale mirato ad uno studio più dettagliato sia dell’anatomia che della funzione del cuore e dell’apparato cardiovascolare. Questo esame viene generalmente effettuato tra 20 e 26-28 settimane quando eseguito per screening, ma può essere effettuato in via preliminare anche a 13-15 settimane in casi con sospetto di patologia cardiaca fetale emerso dall’esame delle 11-13+6 settimane (ecocardiografia fetale precoce) così come può essere effettuato più tardivamente (terzo trimestre) qualora il sospetto fosse posto più tardivamente.

Nel III trimestre di gravidanza (30-34 settimane) vengono eseguiti controlli ecografici volti al monitoraggio del corretto accrescimento e del benessere del feto, al corretto funzionamento della placenta ed una adeguatezza degli scambi ossigenativo/metabolici materno-fetali. In questa occasione, al controllo ecografico che misurerà la biometria del feto, il suo peso, la quantità del liquido amniotico e la valutazione di alcuni distretti anatomici fetali (per evidenziare eventuali patologie fetali evolutive oppure a comparsa tardiva), si associa una valutazione Doppler flussimetrica che evidenzierà eventuali stati di compenso circolatorio che il feto può mettere in atto in situazioni di ipo-ossigenazione. Tale esame è in grado di differenziare stati fetali di iposviluppo legati a difetti di crescita oppure da una regolare crescita fetale ma nei valori inferiori della norma, così come stati di ipersviluppo (macrosomia fetale) che possono essere indice di difetti metabolici materni (diabete gestazionale) o che possono far prevedere complicanze materno-fetali al momento del parto.

DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA

: è un esame che offre la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale genetica precoce: può essere eseguito infatti ad 11-14 settimane di gestazione. I rischi associati alla procedura sono assolutamente sovrapponibili a quelli associati all’Amniocentesi; alcuni recenti studi evidenziano infatti come, in mano ad operatori esperti, il rischio di aborto sia praticamente lo stesso per le due procedure e si aggiri intorno allo 0,3-1% (Mark I. et al. Semin. Perinatol. 2005, 29:215-218 – Evans MI et al. Semin Perinatol 2005 Aug;29, 4:215-8 – Caughey AB et al. Obstet Gynecol 2006 Sep;108:612-6 – J. Beta et al Ultrasound Ob Gyn 2019;54;452-457).  La villocentesi viene peraltro eseguita in un’epoca gestazionale gravata da un’abortività spontanea che si aggira intorno al 2-3 %, mentre nel secondo trimestre (periodo in cui viene effettuata l’Amniocentesi) questa si riduce allo 0,5% e dunque alla luce di questi fattori potrebbe addirittura essere considerata meno rischiosa dell’amniocentesi. Il razionale dell’esame parte dalla considerazione che il feto ed il trofoblasto (tessuto che serve a nutrire l’embrione e che forma la placenta), hanno origine dallo stesso tessuto. I villi coriali sono delle piccole ramificazioni che si trovano nella parte più esterna della placenta. Questi ed il feto hanno dunque la stessa origine cellulare e dunque presentano gli stessi cromosomi. L’esame consiste tecnicamente nell’introduzione attraverso l’addome di un sottile ago nel contesto della placenta, attraverso il quale vengono prelevati pochi frustoli di placenta stessa (in genere tra i 10 ed i 15 mg) e sui quali il laboratorio effettuerà le indagini citogenetiche richieste. Pur essendo un esame invasivo, la villocentesi si svolge in regime ambulatoriale e comporta bassi fattori di rischio purché sia eseguito in centri di eccellenza e da operatori certificati. La villocentesi è particolarmente consigliata nei seguenti casi: gravidanza dopo i 35 anni di età, anomalie cromosomiche riscontrate nei genitori, precedenti figli affetti da anomalie genetiche, in presenza di malattie di tipo genetico ed ereditario all’interno della famiglia o infine risultato anomalo dei test di screening (bi-test o cfDNA). L’accuratezza diagnostica della villocentesi è del 98%. I risultati sono dunque abbastanza precisi ed attendibili tranne in casi rarissimi come ad esempio il mosaicismo cellulare (cioè la presenza di due linee cellulari con differente assetto cromosomico). In questo caso bisogna effettuare altre analisi (amniocentesi o cordocentesi) per completare l’iter diagnostico e comprendere se l’anomalia è confinata alla placenta o riguarda anche il feto; si tratta di uno dei pochissimi casi in cui l’analisi dei villi coriali potrebbe non essere precisa. Un’altra possibile fonte di errore diagnostico è la contaminazione con cellule materne, che avviene nell’ 1.9% dei casi e che richiede ulteriori indagini (amniocentesi o cordocentesi).

II prelievo di liquido amniotico è un esame che offre la possibilità di effettuare una diagnosi prenatale genetica precoce: può essere eseguito infatti a partire da 16 settimane di gestazione. I rischi associati alla procedura si aggirano intorno allo 0,5-1% come descritto nella letteratura scientifica internazionale [Eddleman KA, Malone FD, Sullivan L, Dukes K, Berkowitz RL, Kharbutli Y, Porter TF, Luthy DA, Comstock CH, Saade GR, Klugman S, Dugoff L, Craigo SD, Timor-Tritsch IE, Carr SR, Wolfe HM, D’Alton ME. Pregnancy loss rates after midtrimester amniocentesis. Obstet Gynecol. 2006 Nov;108(5):1067-72; Odibo AO, Gray DL, Dicke JM, Stamilio DM, Macones GA, Crane JP. Revisiting the fetal loss rate after second-trimester genetic amniocentesis: a single center’s 16-year experience. Obstet Gynecol. 2008 Mar;111(3):589-95]. L’esame consiste tecnicamente nell’introduzione attraverso l’addome di un sottile ago nel contesto del sacco amniotico, attraverso il quale vengono prelevati circa 20cc di liquido amniotico e sui quali il laboratorio effettuerà le indagini citogenetiche richieste. Pur essendo un esame invasivo, si svolge in regime ambulatoriale e comporta bassi fattori di rischio purché sia eseguito in centri di eccellenza e da operatori certificati. L’amniocentesi è particolarmente consigliata nei seguenti casi: gravidanza dopo i 35 anni di età, anomalie cromosomiche riscontrate nei genitori, precedenti figli affetti da anomalie, presenza di malattie di tipo genetico ed ereditario all’interno della famiglia o infine risultato anomalo dei test di screening (bi-test e/o Harmony test).

Utilizzando la procedura di prelievo sotto controllo ecografico continuo, il successo del prelievo è garantito nel 99,8% dei casi. Nel 98% dei casi il liquido prelevato è perfettamente limpido, mentre nei rimanenti casi può essere presente sangue (0,4%) o pigmento bruno di origine ematica (< 2%). In circa lo 0,2% dei casi si può verificare il fallimento dell’esame citogenetico, a causa della presenza di sangue nel liquido amniotico o per altri motivi. In questi casi, non si può ottenere un risultato se non ripetendo il prelievo diagnostico; in casi selezionati può essere utile prelevare altri tessuti fetali.

In caso di mosaicismo cellulare (0,2-0,5 % dei casi) può essere opportuno procedere ad un nuovo prelievo (sangue fetale mediante cordocentesi) per il chiarimento diagnostico.

Gli errori diagnostici (risultati falsi negativi) sono molto rari (1 su 5.000) e sono legati all’esperienza del laboratorio; fra le possibili cause di errore, la presenza di mosaicismi non riconosciuti o di riarrangiamenti cromosomici di piccola entità, o la contaminazione da parte di cellule materne che avviene nell’1.9% dei casi. I risultati sono dunque abbastanza precisi ed attendibili tranne in casi rarissimi: mosaicismo cellulare (cioè la presenza cioè di due linee cellulari con differente assetto cromosomico). In questo caso bisogna dunque effettuare altre analisi (amniocentesi o cordocentesi). Questo è uno dei pochissimi casi in cui l’analisi del liquido amniotico potrebbe non essere precisa. L’indagine fornisce informazioni relative a difetti di numero e struttura dei cromosomi, limitatamente alla risoluzione standard (320-400 bande) e la sua normalità non può escludere altre patologie genetiche o malformazioni congenite non evidenziabili mediante il cariotipo standard. L’indagine può rilevare condizioni di anomalia cromosomica associata a quadri clinici diversi dalla sindrome di Down, per i quali sarà opportuna una consulenza genetica.

Per entrambe le tecniche (villocentesi ed amniocentesi) l’analisi del cariotipo fetale prevede due procedure:

  • l’indagine diretta – in cui si leggono i cromosomi delle cellule in metafase già presenti nel prelievo – che dà un risultato preliminare dopo circa 3-4 giorni ed è già attendibile al 99%.
  • l’indagine dopo coltura – che richiede la coltura delle cellule – che ha un tempo tecnico di circa quindici giorni e conferma il risultato ottenuto con l’indagine diretta.

Questi differenti tempi di attesa dei risultati dipendono dalla due tecniche di analisi eseguite sul campione placentare.

Sul materiale prelevato (villi coriali o liquido amniotico/amniociti) è possibile effettuare tre diverse tipologie di analisi del materiale genico via via più complete:

– CARIOTIPO TRADIZIONALE. Questo esame fornisce informazioni circa le principali anomalie cromosomiche mediante la valutazione del cariotipo fetale, potendo mettere in evidenza unicamente quelle anomalie caratterizzate dalla presenza di un numero anomalo di cromosomi (aneuloidie, tra cui la più frequente è la Trisomia del cromosoma 21 meglio nota come Sindrome di Down) ovvero anomalie grossolane di forma dei cromosomi stessi (ad esempio perdita di parte del patrimonio genetico a causa dell’assenza di parti di un cromosoma, note con il termine di delezioni, ovvero scambi di parti di cromosomi tra loro, note con il termine di traslocazioni). Questo tipo di esame rileva quindi una classe di anomalie genetiche del tutto casuali, non necessariamente ereditarie, e che si verificano per errori occorsi nelle fasi di divisione cellulare a livello dei gameti (cellule che andranno a formare lo zigote o embrione), e non è in grado di individuare microscopiche dei cromosomi né nulla che riguardi i geni contenuti nei cromosomi stessi (note come mutazioni).

– CARIOTIPO TRADIZIONALE CON STUDIO PARZIALE DELLE MUTAZIONI PIU’ FREQUENTI. Consiste nella valutazione tradizionale del cariotipo, come spiegato nel precedente paragrafo, completato anche dalla ricerca delle mutazioni geniche più frequenti che sono causa di altrettante malattie geniche. Si tratta di anomalie che riguardano piccoli tratti di DNA che costituiscono un determinato gene e che causano altrettante malattie. Tali mutazioni vengono trasmesse verticalmente dai genitori al prodotto del concepimento, e necessitano pertanto che entrambi o uno solo dei genitori siano portatori a loro volta della mutazione in questione, generando nel primo caso un feto affetto dalla malattia e nel secondo caso un feto portatore sano della mutazione e quindi della malattia. Riportiamo di seguito una descrizione delle quattro patologie geniche più frequenti e che sono quelle ricercate in questa tipologia di esame genetiche che le stiamo proponendo:

FIBROSI CISTICA. La Fibrosi Cistica è una malattia ereditaria, cronica, evolutiva, caratterizzata dalla presenza di secrezioni mucose dense che accumulandosi a livello di polmoni, pancreas ed intestino possono causare l’ostruzione delle vie di comunicazione determinando patologie a livello di questi organi. La frequenza dei portatori sani nella popolazione è di circa 1:20, mentre la frequenza della patologia è di 1 bambino malato su circa 2500 nati. Il trattamento delle insufficienze polmonari, pancreatiche ed intestinali può essere di tipo farmacologico o fisioterapico. La Fibrosi Cistica è una malattia autosomica recessiva. Ciò significa che se si ha: a) un gene difettoso si è portatori sani; b) due geni difettosi si è malati. Attualmente per questa condizione si conoscono più di 900 mutazioni. Il test genetico ricerca solo le mutazioni più frequenti ma che nel complesso sono responsabili di circa il 75-80% dei casi di Fibrosi Cistica nel nostro Paese. Quindi nel caso di test negativo, resta una probabilità residua di essere portatori sani. Se entrambi i genitori sono negativi al test, la probabilità di avere un figlio affetto è inferiore a quello della media presente nella popolazione in generale. Se entrambi i genitori sono positivi al test, la probabilità di avere un figlio affetto è di 1:4 (25%). La diagnosi prenatale permette di arrivare ad una diagnosi conclusiva: non portatore, portatore sano o malato. Se un genitore è positivo al test (portatore) e l’altro è negativo, la probabilità di avere un figlio affetto è superiore a quella della media presente nella popolazione in generale. La diagnosi prenatale permette di escludere lo stato di malattia solo nel 50% dei casi (assenza nel feto della mutazione del genitore portatore). Il test fornisce informazioni solo riguardo a questa condizione e non esclude altre patologie.

X-FRAGILE. La Sindrome dell’X-fragile è la forma più comune di ritardo mentale dopo la Sindrome di Down, ed è la più frequente tra quelle ereditarie. Essa è dovuta ad una mutazione (ripetizione di una tripletta) del cromosoma X (gene FMR1). In base al numero di triplette ripetute gli individui possono essere distinti in: a) NORMALI (non affetti); b) PREMUTATI (non affetti); MUTATI (affetti). Le femmine portatrici della permutazione possono trasmettere al feto la premutazione o la mutazione a seconda dell’ampiezza della stessa. I maschi portatori della premutazione la possono trasmettere alle figlie che saranno normali, ma portatrici sane e potranno, in futuro, avere figli affetti. I feti maschi con mutazione completa sono sempre affetti. I feti femmina con mutazione completa sono affette dalla patologia X-fragile nel 50% dei casi. Il test fornisce informazioni solo su questa patologia e non esclude ritardi mentali dovuti ad altri meccanismi e/o ad altri geni. Esistono limiti di “risoluzione” legati alla metodica applicata: il test può non evidenziare la presenza di full-mutation.

SORDITA’ EREDITARIE. Esistono diverse forme di sordità su base genetica. Nella maggior parte dei casi si tratta di forme non sindromiche, ovvero la sordità è l’unico sintomo riscontrato e non si manifestano altri segni e/o sintomi. A seconda delle modalità di trasmissione le forme di sordità genetica si dividono in: a) Autosomiche Recessive; b) Autosomiche Dominanti; c) Legate al Cromosoma X; d) Mitocondriali. I numerosi studi atti ad individuare i geni coinvolti nello sviluppo di questa malattia hanno portato alla conclusione che un’alta percentuale delle forme autosomiche recessive (circa l’80% in Italia) sono dovute a mutazioni del gene della connessina 26 (CX26) localizzato sul braccio lungo del cromosoma 13. L’analisi molecolare del gene CX26 può essere un valido strumento per individuare la causa genetica responsabile della sordità congenita; può essere inoltre importante nella diagnosi prenatale in caso di familiarità, oppure per identificare portatori sani tra i familiari di persone affette. Bisogna comunque ricordare che sono numerosi i geni coinvolti nelle numerose forme di sordità genetica, molti dei quali non ancora caratterizzati.

– CARIOTIPO MOLECOLARE (Array-CGH). Mediante questo esame è possibile esaminare i cromosomi in maniera più approfondita ed accurata attraverso una procedura diagnostica che impiega una tecnica molecolare innovativa conosciuta come array-CGH. Essendo una tecnica molecolare, che non necessita di coltura cellulare, con il Cariotipo Molecolare è possibile ottenere un’analisi cromosomica approfondita in soli 2-3 giorni, a differenza dei 20 giorni necessari con la tecnica tradizionale, riducendo al minimo i tempi di attesa dei risultati. Rispetto all’esame citogenetico tradizionale, l’analisi molecolare dei cromosomi ha una risoluzione molto più elevata (ca. 100 volte). Ciò consente di identificare alcune patologie derivanti da alterazioni cromosomiche submicroscopiche (microdelezioni e le micro duplicazioni), non evidenziabili tramite il cariotipo tradizionale, aumentando sensibilmente l’accuratezza dell’esame. Il cariotipo molecolare, infatti, consente di effettuare rapidamente non solo lo studio dell’assetto cromosomico fetale, ma anche di un gruppo di 100 patologie causate da microdelezione/microduplicazione cromosomica (es. Sindrome di DiGeorge, la Sindrome di Williams, la Sindrome di Praeder-Willi/Angelman) ed oltre 150 geni. Di seguito viene riportato l’elenco delle 100 patologie causate da microdelezione/microduplicazione cromosomica e degli oltre 150 geni che vengono investigate con il cariotipo molecolare mediante tecnica Array-CGH:

L’Array-CGH è una metodica molecolare che non necessita di coltura cellulare, quindi non è soggetta al rischio di mancata crescita e, di conseguenza, di ripetizione del prelievo, garantendo un risultato nel 100% dei casi. I limiti di tale tecnica in ambito prenatale sono rappresentati dall’impossibilità di identificare riarrangiamenti cromosomici bilanciati (non patologici) e i mosaicismi (cioè la presenza cioè di due linee cellulari con differente assetto cromosomico) con una linea cellulare scarsamente rappresentata (inferiore al 10% circa).  Questa tecnica innovativa si differenzia cariotipo tradizionale prenatale in quanto meno laboriosa e facilmente automatizzabile, e quindi meno soggetta a rischio di errore.

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